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Da sempre alcuni equivoci popolano la teoria del diritto, equivoci che si addensano in particolare nel diritto costituzionale. Essi riguardano la dimensione "fattuale" del diritto, l'incidenza che gli avvenimenti sociali, le trasformazioni storiche, le evoluzioni politiche esercitano sulla "costituzione", testo scritto, di per sé immobile (perché un po' difficile da modificare, per fortuna) e che dovrebbe "tenere" tutte queste modificazioni "di fatto". La centralità conquistata dall'economia ha trasformato i modi di valutare le leggi: non più soggette al giudizio di legittimità tipico dello strumentario giuridico, ma a una "validazione" (Foucault) espressa in termini di risultato. La legge si è "tecnicizzata", si è modificato il modo stesso di scriverle e le competenze richieste in chi le deve attuare. Più di recente, la scienza e la tecnologia hanno stravolto i termini stessi dell'esistenza umana, la concezione, la nascita, la malattia, la morte, generando una disciplina - il "biodiritto" - che proprio delle connessioni tra "fatti" scientifici e norme sui diritti fa l'oggetto specifico del proprio sapere. Ma è proprio davvero così? Esiste una "normatività del fattuale" (Jellinek) che in queste nuove riedizioni preme per modificare i fondamenti della scienza giuridica e, addirittura, della stessa cultura occidentale, basata sulla "legge di Hume"? Questo saggio punta con convinzione ad una risposta negativa.